Abstract
Il contributo analizza il reato di intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo, offrendo un’analisi comparata con il sistema repressivo tedesco. Lo studio si sofferma, in particolare, sui limiti di legittimazione del diritto penale nella punizione dei fatti di “caporalato”, nel tentativo di scongiurare che l’intervento repressivo nelle dinamiche economiche e contrattuali, di natura sinallagmatica, possa assumere una portata tale da porsi in contrasto con il canone della sussidiarietà. A tal fine, si suggerisce una prospettiva ermeneutica che incentri il disvalore penale del reato di cui all’art. 603-bis c.p. sulla lesione dei diritti fondamentali del lavoratore – riconducibili agli artt. 4, 35 e 36 Cost. – che fungono da limite alla libertà di impresa. Invero, gli indici di sfruttamento elencati dalla norma incriminatrice sembrano riecheggiare quei diritti fondamentali che spettano all’uomo in quanto lavoratore: quegli stessi diritti che – qualora lesi nella loro dimensione minima e quindi intangibile – legittimano l’intervento dello ius terribile. Viene, peraltro, posto l’accento anche sulla tutela del mercato del lavoro: in tal senso, il reato de quo – pur collocato nell’alveo del c.d. Kernstrafrecht – rappresenta un nuovo paradigma della risposta istituzionale nel quadro degli attuali rapporti tra diritto ed economia.
Lingua originale | Italian |
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pagine (da-a) | 622-670 |
Numero di pagine | 49 |
Rivista | RIVISTA TRIMESTRALE DI DIRITTO PENALE DELL'ECONOMIA |
Stato di pubblicazione | Published - 2020 |