Tutela degli interessi collettivi e class action : le recenti riforme in Italia e l'esperienza degli altri ordinamenti a confronto

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Da tempo il nostro sistema di responsabilità civile viene chiamato ad apprestare tutela per fattispecie di danno che pure, per i tratti che le caratterizzano, non sembrerebbero propriamente potervi rientrare. Si tratta in particolare della vasta gamma di danni su larga scala - riportati da consumatori/utenti finali e risparmiatori - conseguenti allo svolgimento di attività di impresa , ove ricorra un impiego abusivo di tecniche contrattuali c.d. “per adesione”, la tenuta di condotte sleali ovvero anticoncorrenziali. In tali casi chiara appare l'esigenza di “riparare” pregiudizi che innegabilmente si producono a carico della sfera giuridica individuale, e non meno impellente risulta la necessità di reprimere condotte di mercato scorrette; ma è altrettanto patente la distorsione del congegno aquiliano che si vorrebbe impiegare a tale scopo. Ciò in considerazione delle difficoltà di adattamento che le diverse componenti del torto (nesso di causalità in testa) presentano rispetto alle fattispecie in esame, nonché soprattutto in ragione della estraneità di qualsiasi componente punitiva alla base del paradigma continentale, e di sicuro italiano, della responsabilità civile. La strutturazione poi su base prettamente individuale del nostro apparato di tutela dei diritti fa apparire a prima vista estraneo al sistema il modello della class action, se con essa si intende una azione giudiziale “di gruppo”, esercitata su iniziativa di alcuni degli appartenenti a tale gruppo e destinata tuttavia a produrre effetti anche nella sfera giuridica degli altri. Nondimeno, da tempo, specie in ambito comunitario, si fa largo l'idea che sia proprio una tecnica di tutela collettiva, del genere di quella statunitense, a costituire l'ideale contrappunto rimediale per le lesioni generate dai comportamenti distorsivi del funzionamento del mercato. In questa cornice si colloca la scelta compiuta da ultimo ( e non senza difficoltà, come dimostra il dibattito di questi mesi) dal legislatore italiano, nella legge finanziaria per l'anno 2008, con cui è stata introdotta un' azione collettiva risarcitoria. L'art. 140 bis ora introdotto nel Codice del Consumo consente che le associazioni di consumatori ed utenti possano chiedere che venga accertato in giudizio il diritto al risarcimento del danno nonché quello alla restituzione delle somme spettanti, in conseguenza di illeciti occorsi “nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ai sensi dell'art. 1342 c.c., ovvero in conseguenza di illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali”. In ragione del quadro di riferimento interno sopra sinteticamente ricordato si comprende sia la novità della recente riforma, sia una certa “sommarietà” del dettato legislativo, che evidenza, ma non risolve, questioni centrali di ordine sistematico da cui dipende la corretta collocazione e l’adeguato funzionamento nella prassi del congegno ora introdotto. La ricerca si propone di indagare e mettere a fuoco : a) presupposti e regole di funzionamento del rimedio così introdotto, colmando, alla stregua della soluzione di nodi sistematici, lacune di tipi applicativo ; b) elementi di compatibilità/alternatività rispetto alle già sperimentate fattispecie di azioni collettive (a carattere inibitorio), quali quelle previste in tema di clausole abusive, nella disciplina settoriale dei contratti dei consumatori, nella disciplina delle transazioni commerciali e, soprattutto, nella regola generale ora sancita dall’art 37 cod. cons.; c) la specificità del meccanismo ora introdotto,il cui affrettato accostamento a modelli stranieri pur distanti può avere rilevanti implicazioni in sede applicativa. Una particolare attenzione si intende dedicare sia alla comparazione con il modello statunitense di diversa impostazione e di impostazione punitiva nonché alla prospettiva europea, ove, infatti, con l'eccezione della sol

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La ricerca si propone di verificare la collocazione sistematica della tecnica di tutela collettiva introdotta con l'articolo 140 bis Codice del consumo e di chiarire se, e fino a che punto, il rimedio sostanziale cui essa appresta una inedita cornice processuale, possa dirsi quello aquiliano.Si tratta di un obiettivo di rilievo sistematico che tuttavia presenta forti ricadute in sede applicativa. Giova osservare infatti che l'azione appena introdotta viene promossa da associazioni rappresentative, sebbene sia data facoltà a singoli consumatori o utenti di aderire all'azione collettiva, dandone comunicazione scritta al proponente: ma il testo manca di qualsivoglia coordinamento con il codice di rito, al di là di modifiche terminologiche di dettaglio apportate al solo art. 50 bis c.p.c.. La riforma tocca lo snodo nevralgico della riflessione intorno ai limiti della tutela collettiva, ma ne ignora del tutto la problematica di ordine sistematico: precisamente l’impossibilità che da un giudizio incentrato sulla lesione di interessi di gruppo, e da organismi rappresentativi di tali interessi promosso, possa trarsi un giudicato non solo capace di incidere direttamente (se non esclusivamente) sulla posizione di singoli - in quanto avente contenuto di condanna risarcitoria o restitutoria - ma vieppiù di singoli estranei al processo. Da tale profilo, dunque, la ricerca dovrà condurre anche a delineare i tratti tipici della class action in versione italiana, segnalando punti di contatto e prese di distanza sia con il modello nordamericano sia con quello, in apparenza più vicino, presente in ambito europeo: in particolare, la distanza con il differente (e forse più coerente) modello di azione promossa da organismi rappresentativi di interessi superindividuali. La determinazione poi per via giudiziale dei “criteri” in base ai quali liquidare l’importo minimo da corrispondere a ciascun consumatore/utente e la formazione del giudicato che fissa “l’importo minimo” da liquidare ai singoli danneggiati e che fa stato nei confronti dei consumatori ed utenti i quali abbiano aderito uti singuli all'azione collettiva, presuppone a monte – ed è questo un secondo e conseguente obiettivo della ricerca - una puntuale messa a fuoco della funzione del rimedio in parola. Dovrà ammettersi, invero – traendone le conseguenze in sede applicativa - che non di accertamento e quantificazione di danno si tratterà, bensì della determinazione, per via giudiziale, di una penalty. Metodologie La composizione del gruppo di ricerca e i settori di interesse scientifico degli stessi, consentono di assicurare alla ricerca la (necessaria) metodologia di indagine che coniughi costantemente l’approccio ricostruttivo-sistematico ( in tema di responsabilità civile ma anche di regole sostanziali e processuali di tutela dei diritti) con quello casistico, avuto precipuo riguardo agli orientamenti espressi dalle Corti interne, ma anche dalla Corte di Giustizia. Il metodo comparatistico, inoltre,fornirà supporto indispensabile alla ricerca, innanzitutto al fine di individuare con esattezza i modelli normativi altrove già sperimentati in altri ordinamenti; quindi, onde saggiare la ricaduta pratica che essi mostrano fin qui di avere avuto, alla stregua della casistica giurisprudenziale. Il punto di riferimento costante sarà comunque rappresentato dall'impianto sistematico interno, e dalla compatibilità tra la tecnica processuale introdotta ed i substantial remedies, di marca risarcitoria e restitutoria.
StatoAttivo
Data di inizio/fine effettiva1/1/07 → …

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