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Negli ultimi anni gli studi sul processo apoptotico sono considerevolmente aumentati, invadendo il campo della biologia e della medicina. Molti di questi studi riportano come diversi sistemi biologici adoperino questo meccanismo di morte cellulare sia in condizioni fisiologiche sia di stress. Molto più recentemente è stato appurato che la morte cellulare può utilizzare un altro meccanismo: l’autofagia.
Pertanto gli studi sulla morte cellulare proseguiranno nelle cellule di embrioni di riccio di mare esposti a metalli pesanti, come ioni cadmio, o anche in condizioni fisiologiche di sviluppo, monitorando i meccanismi di morte programmata.
Tra le condizioni di stress più studiate, la tossicità indotta da metalli pesanti continua a essere di primario interesse per la distribuzione ubiquitaria che questi contaminanti possono avere nell’ambiente, il cui inquinamento ha una negativa ricaduta su numerosi organismi. Gli embrioni di riccio di mare rappresentano un adeguato modello per lo studio e il monitoraggio di diversi meccanismi di difesa, attivati specificamente per fronteggiare i molteplici cambiamenti dell’ambiente marino.
L’embrione di riccio di mare è stato utilizzato come organismo modello della biologia dello sviluppo per molti anni ed è considerato il deuterostoma più primitivo, con scheletro calcificato, correlato a protocordati e vertebrati.
In questo contesto, si propone un progetto che consolida una ricerca che ha già prodotto interessanti risultati. Gli studi sugli embrioni di riccio di mare, proseguiranno con indagini che hanno lo scopo di comprendere la relazione che intercorre tra il processo apoptotico e autofagico, come risposta all’accumulo di ioni cadmio nelle cellule embrionali di Paracentrotus lividus.
In precedenza, abbiamo riportato che l’esposizione di embrioni a dosi citotossiche di cadmio provoca l'accumulo intracellulare del metallo e l'attivazione del sistema difensivo, in modo dose-tempo dipendente, attraverso la sintesi di specifiche HSPs e/o l’innesco di apoptosi. Mediante diversi approcci sperimentali, abbiamo dimostrato che gli embrioni esposti a cadmio (CdCl2) adottano l’autofagia come un aggiuntivo stratagemma per salvaguardare il programma di sviluppo. Inoltre, gli embrioni attivano una risposta autofagica massiva dopo 18 ore, che diminuisce tra 21 e 24 ore, all’opposto di quanto osservato per l’evento apoptotico, che raggiunge il massimo dopo 24 ore, come dimostrato da saggi TUNEL e immunofluorescenza in situ della proteina cleaved-caspasi-3. Questi dati suggeriscono che gli embrioni, prima di attivare definitivamente l’apoptosi, tentano di sopravvivere, eliminando componenti cellulari danneggiate, aumentando il numero degli autofagolisosomi, in proporzione all’entità dell’insulto subìto. Tuttavia, se il danno cellulare è troppo esteso, l’apoptosi diventa ineluttabile.
Pertanto le indagini proseguiranno indagando l’eventuale esistenza di una relazione funzionale tra autofagia e apoptosi. In particolare sarà analizzato il processo apoptotico in embrioni esposti a cadmio in una condizione di autofagia inibita, mediante trattamenti con specifici inibitori di autofagia. I risultati potranno evidenziare se l'inibizione dell’autofagia provoca una riduzione dei segnali apoptotici. Infatti, considerando il ruolo catabolico del processo autofagico, si potrebbe formulare un'ipotesi di tipo energetico, secondo la quale l’autofagia potrebbe contribuire all’esecuzione dell’apoptosi attraverso il rifornimento di ATP, necessario all’apoptosi. A tal scopo sarà somministrato un substrato energetico per la produzione di ATP. In questo sistema modello, l’autofagia potrebbe inserirsi come un meccanismo cruciale nel contrastare lo stress, contribuendo alla protezione del programma di sviluppo embrionale.
Un altro punto sperimentale riguarderà il ruolo del processo autofagico/apoptotico nello sviluppo fisiol
Stato | Attivo |
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Data di inizio/fine effettiva | 1/1/12 → … |
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