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Sessanta anni fa, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, veniva pubblicato il libro di Fernand Braudel, La Méditerranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II (1949), probabilmente il libro di storia più influente tra quelli apparsi nella seconda metà del XX secolo; e tra i più influenti nell’intero campo delle scienze umane. È con Braudel che il Mediterraneo divenne un oggetto storico a tutti gli effetti, la cui latitudine si allargò poi rapidamente al Medioevo e all’antichità, anche remota, grazie alle ricerche da lui direttamente o indirettamente ispirate, e grazie ad alcune imprese che si collocano sulla scia de La Méditerranée. In particolare, la ricerca di Shelomo Dov Goitein sulle comunità mercantili ebree del mondo musulmano tra il X e il XIII sec. (A Mediterranean society, 1967-1993), e poi, più recentemente il libro di Peregrine Horden e Nicholas Purcell, The corrupting sea. A study of Mediterranean history (2000). Ed è a partire dalle suggestioni alimentate da Braudel che si costituì (a partire dagli anni ’60) un’antropologia del Mediterraneo, fondata sull’idea secondo cui le culture dei popoli affacciati sulle sue rive condividono un nucleo primario di regole e di idiomi, e che questa cultura condivisa abbia un profondo passato dietro di sé.
La regione mediterranea che prese forma nel crepuscolo dell’epoca coloniale (la formazione del nuovo medio-oriente nell’immediato dopoguerra e la vicenda algerina ne costituiscono il contesto politico essenziale) assunse una forma geoculturale ben precisa, ossia la forma di un mondo definito e rappresentabile (come «Occidente», come «Oriente», o come «Mitteleuropa», o ancora come – in Italia o in Francia - «Mezzogiorno»). Si potrà allora parlare non solo di storia mediterranea, ma anche di letteratura mediterranea o di musica mediterranea e persino di un «pensiero» mediterraneo (o ‘meridiano’). Si discusse allora di «mediterraneismo», e della nozione venne fatta, innanzitutto da Michael Herzfeld, negli anni ’80, una critica radicale, che riecheggiava quella, divenuta assai celebre, di «orientalismo» formulata negli anni 70 da Edward Said.
Il modello braudeliano dell’unità del Mediterraneo (il mare come vero ‘personaggio’), da cui gli studi sono stati così fortemente condizionati, non è a sua volta un’invenzione ex nihilo: esso attinge a fonti eterogenee, letterarie, storiografiche, antropologiche ecc., che, tra XIX e XX secolo codificano la nozione eurocentrica di mare coloniale, ossia di uno spazio ristretto, centrato sulla parte occidentale, che comprende, in posizione subalterna, i territori maghrebini escludendo il resto dell’Africa. Si tratta di un processo precoce nel mondo culturale francese che poi troverà anche altrove (in Italia innanzitutto) dei riscontri puntuali.
È questo il quadro problematico generale che giustifica un progetto di media durata avente per obiettivo una verifica ravvicinata di alcune delle nozioni culturali determinate, o condizionate, dallo sviluppo, e poi dalla crisi, dell’immaginario mediterraneistico.
Il progetto ha per obiettivo l’analisi comparata di alcuni degli oggetti e delle nozioni prodotti dalla costruzione «europea» o «occidentale» dello spazio mediterraneo, con la consapevolezza che tale analisi dovrebbe essere accompagnata dalla capacità di spostare lo sguardo su meccanismi analoghi, cioè su altre «terre di mezzo», sorte altrove, per esempio in ambito greco-bizantino, medio-orientale, islamico, maghrebino… e di verificare i punti di contatto, le sovrapposizioni, le dipendenze.
Il progetto vuole essere multidisciplinare da un lato; non limitato a uno specifico periodo storico, dall’altro. Si avvarrà, infatti, di competenze diversificate e abbraccerà un arco cronologico ampio che va dal X secolo ai giorni nostri, con l’intento di indagare sulle vicende storiche, sulle persistenze e le trasformazioni c
Stato | Attivo |
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Data di inizio/fine effettiva | 1/1/12 → … |
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